luludia

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editoriale di luludia

Ebbene si, giunto alla mia veneranda età, comincio a leggere i giornali dalle pagine finali, ovvero sport, spettacoli, cultura...

Poi, li mi fermo...

E massimo massimo do un'occhiata all'amaca di Michele Serra, più che altro perché sa scrivere.

Attenzione, non è che ne vada fiero, anzi per molti versi mi dispiace.

Anche perché io sono figlio di ex giornalai e ho passato l'infanzia tra l'odore dei giornali appena arrivati e ancora oggi vedere un'edicola mi da un'emozione particolare...

Eppure è così, non me ne frega più un cazzo di niente, anche adesso, con le elezioni alle porte. Ma, ripeto, non ne vado fiero...

Da sempre appartenente a una sinistra ideale e quasi anarchica, rimpiango i tempi in cui si credeva che l'agire quotidiano e l'interesse per le cose fosse, non un dover essere, ma un piacere...

Quel che io penso del mondo è che è un groviglio di ingiustizie varie, dagli ultimi/ultimissimi dei paesi più degradati fino all'irrigidimento di un Giandomenico Fracchia nell'ufficio del dirigente supremo...

Quel momento di Paolo Villaggio credo rappresenti davvero, e nel modo più perfetto, tutti gli aspetti aberranti (psicologici e sociali) della condizione lavorativa dei più...

La subordinazione, per usare una sola parola...

Eppure, eppure, aldilà di tutti gli snobismi, e del fatto che noi tutti si sia diventati semi artisti per sfuggire alla malinconia, non si può dir niente di più giusto che: “tutti dovrebbero guadagnare 2000 euro al mese.”

Tutti, ma proprio tutti, dallo splendido artista alla persona più semplice, che la sedia sulla quale sono seduto adesso è importante quanto i quattro versi di un poeta greco.

Ma è importante solo se viene costruita come in leggerezza, in uno spirito di comunanza con gli altri dove la subordinazione sia solo un lontano ricordo.

Allora, credendo questo, come mai il vostro luludia si disinteressa completamente di quanto accade? Semplice, il vostro luludia ha una certa età e si è, come dire, un po' stancato...

Il vostro luludia è pure un ex bambino prodigio, uno di quelli che avrebbe potuto benissimo fare la scelta di tanti suoi compagni di scuola che sono diventati, che so, segretari della cgil, assessori, direttori di banca...

Avrei potuto farlo, si...

Però, chissà perché, io e i miei amici abbiamo sempre schifato scelte di questo tipo...

Siam stati come preveggenti, certo, ma quanto sarebbe stato comodo farlo anche noi, che adesso andremmo in giro con quella maschera di sicurezza in volto, tranquilli come il sole...

Però no, non l'abbiamo fatto...

Avevamo già capito che il mondo non cambia (se non negli aspetti puramente esteriori) e che l'unica cosa possibile è soltanto l'agire di ogni giorno, non tanto politico, ma umano...

Testimoniare, insomma...

Testimoniare una diversità, non dico orgogliosa che già nell'orgoglio c'è qualcosa che non va, ma una diversità tranquilla, come a dire noi ce ne fottiamo delle vostre beghe...

Il colpo di grazia è stato poi dato dalla mancanza di orizzonte...

Che l'utopia non esiste più...

Il non luogo, quello che mai avverrà e che tutti un tempo han creduto potesse avvenire di li a poco...

Certo, era solo una leggenda di libertà, ma la scomparsa di quell'orizzonte, sempre un passo più in la, non ha fatto altro che portare la politica a essere solo e soltanto accaparramento di poltrone.

Non so...e voi?

Voi continuate ad interessarvi al mondo?

Io no...

E, fighissimo e sperduto,vivo perso nei miei sogni ...

Ps: il signore che sta nell'edicola che ho messo come immagine assomiglia al mio babbo...

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editoriale di luludia

Allora, essendo tripolare mi dovete dire tre volte buongiorno e magari farmi anche tre caffè, non uno...

Da un certo punto di vista poi, trovandoci abbastanza bene in tre (e in un equilbrio direi discreto), forse un giorno potremmo persino allargare la famigliola...

Che, dove si mangia in tre, si mangia anche in quattro...

E quindi probabili me stessi che fate capolino avvicinatevi senza paura...

Ma di che parlavo?

Ah si, parlavo di equilibrio discreto, o di discreto equilibrio...

Ma tutti sanno che l'equilibrio non è altro che una forma più riuscita di follia o, come diceva Bergman, una maschera credibile...

E' molto importante avere una maschera credibile, ti permette persino di essere abbastanza folle senza paura di finire in manicomio o in un qualsiasi servizio di diagnosi e cura che dir si voglia...

Il problema è sempre quello, per esempio finché ce n'è uno di Bob Dylan va bene, ma immaginatevi un mondo dove tutti sono Bob Dylan...

Non è possibile...

Ci sono gli eletti, forse anche per una questione di culo, o sempre per quella storia della maschera credibile...

Poi ci son quelli che dovrebbero togliersi dalla testa l'idea di essere eletti...

Si dice nei libri di scienze che il bradipo mena vita arboricola e non è molto intelligente...

Ma siamo tutti bradipi, di Bob Dylan ce n'è uno e probabilmente è un bradipo anche lui, solo che è riuscito a trovare il modo di farvelo dimenticare e, in segreto, anche lui mena vita arboricola e non è molto intelligente...

Ma avrei potuto dire Morrison, Lou reed, un poeta o chissà quale altro artista...

Toglietevi dalla testa l'idea di essere degli eletti...

Procuratevi piuttosto una maschera credibile...

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editoriale di luludia

1)

C'era una volta una bambina dai capelli rossi che era leggera come una nuvola e aveva un bellissimo sorriso perché ogni mattina si lavava i denti con tre dentifrici diversi. Un giorno decise di comprare qualcosa e entrò in un negozietto. Prima di farlo mise tre sassolini nelle tasche per essere un po' meno leggera, altrimenti il negoziante non avrebbe potuto vederla.

“Vorrei un pochettino di ragù per il mio micio occhi blu.” Infatti fuori c'era un gatto che aspettava, ma non aveva gli occhi blu. Che quelli servono solo per la rima. In compenso era rosso come i capelli della bambina e disegnava con la coda un punto interrogativo nell'aria.

2)

Fuori dal negozio la bambina si tolse i tre sassolini dalle tasche. Era di nuovo leggera, e così nessuno poteva vederla. A parte Giovanni.

“Mamma guarda quella bambina col gatto!!” “Dove Giovanni?” “Sono li mamma, non li vedi?” “No” “Ma come, guarda!! Il vestito della bambina sembra una nuvola e il gatto sta mangiando il ragù ” “Giovanni, per favore!!”

Si perché nessuno vedeva nemmeno il ragù. Tutte le cose che la bambina toccava diventavano invisibili.

3)

Dopo essersi accorta di Giovanni e avergli sorriso, la bambina si trasformò in una coloratissima farfalla e si allontanò con il gatto che le saltellava dietro. La trasformazione andò così: prima rimase solo la nuvola che fece pof come una bollicina e poi venne fuori la farfalla.

“Insomma Giovanni vuoi muoverti!!” “Mamma, ho appena visto una bambina trasformarsi in una farfalla!!” “Si, si, piacerebbe anche a me trasformarmi in una farfalla, così non dovrei fare la spesa e correre a casa per cucinare per te e per tuo padre.” “Ma, mamma, io l'ho vista davvero” “Va bene Giovanni, ma adesso andiamo.”

4)

Ma era successa anche un'altra cosa: i tre sassolini che la bambina aveva buttato adesso erano colorati e avevano gli stessi colori della farfalla che era volata via. Giovanni li raccolse senza farsi vedere e se li mise in tasca.

Arrivato a casa Giovanni cominciò a giocare. Lui era un pirata e i sassolini un tesoro che aveva trovato e che adesso era al sicuro nelle sue tasche. Al sicuro? Non proprio, che adesso qualcuno lo stava inseguendo. Bisognava scappare, correre. E correva, correva. Ma chi lo inseguiva? Sarebbe stato bello se a farlo fosse stata quella bambina.

5)

“Basta correre, stai li sul divano e non muoverti”. E Giovanni chiuse gli occhi e sentì una specie di ronzio nella testa che forse era la rabbia di essere in castigo. Poi mise le mani in tasca e toccò i tre sassolini. Immediatamente il ronzio si trasformò in un altro suono, un ron ron elettrico e dolce. Poi si accorse che quel ron ron non era nella sua testa, ma fuori. Aprì gli occhi. Sul divano con lui c'era il gatto e il ron ron erano le fusa.

Era talmente stupito che non riusciva a dir niente, e di cose da dire ne avrebbe avute parecchie: come aveva fatto il gatto ad entrare? dov'era la bella bambina dai capelli rossi? come si spiegava la trasformazione in farfalla? Ma neanche una parola gli uscì dalla bocca.

6)

Lui e il gatto si guardarono negli occhi e all'improvviso non c'era più la stanza, ma un albero, dove su un ramo se ne stavano tranquilli.“Sono un gatto o un bambino?” si chiese. Dalla cucina si sentiva arrivare un rumore di pentole e così sembrava che anche la mamma fosse sul ramo.

Era passato parecchio tempo quando con la coda dell'occhio vide il gatto che si allontanava insieme alla farfalla. E quando la mamma lo liberò dal castigo, lui non riprese a giocare. E se ne stava li come uno che aveva fatto un bel sogno e non vuole svegliarsi.

7)

Il giorno dopo a scuola fece un disegno dove si vedevano il ramo, il gatto, il bambino. Poi aggiunse la farfalla mettendola al posto del sole. "E la bambina, la bambina dove la metto?" Ci pensò sopra parecchio per poi disegnarla addormentata ai piedi dell'albero.

Mancava solo la mamma e quel rumore di pentole che vuol dire che c'è. Disegnò allora una pentola rossa e la mise tra i fiori del prato quasi fosse un bel fiore anche lei. I sassolini non li disegnò. Che quelli erano un segreto. Il segreto più segreto di tutti.

8)

Quando la maestra gli chiese come mai il bambino assomigliasse un po' al gatto, Giovanni rispose che non lo sapeva proprio bene, ma che essere un gatto gli sarebbe piaciuto. Si sentirono allora le risate degli altri bambini, ma Giovanni non se la prese, anche perché c'era una farfalla colorata che svolazzava fuori dalla finestra.

Al ritorno da scuola ebbe voglia di tornare sul ramo. Cercò allora di rifare le stesse cose del giorno prima: si fece mettere in castigo, toccò i sassolini. Niente. Riprovò un'altra volta e tante altre ancora. “Gatto rosso, perché non arrivi?”

9)

La sera si addormentò un pochino deluso. Mise però i sassolini sotto il cuscino come si fa coi dentini per far arrivare la fata. Fu una buona idea, perché quando si svegliò in piena notte il gatto era tornato e se ne stava ai piedi del letto.

Dapprincipio tutto sembrava normale, poi si rese conto che era buio e che ci vedeva lo stesso. Accompagnato dal gatto fece un giro nel nero della casa e tutto era uguale a sempre, ma anche un pochino diverso, un diverso che non faceva paura. Poi arrivò la farfalla, non più colorata, ma bianca e il gatto la seguì.

10)

E, anche se il gatto era andato via, continuava a vedere nel buio. Ed era bello non accender la luce. Era bello non avere paura. Gli venne persino l'idea di uscire in giardino, ma temeva che il rumore della porta avrebbe potuto svegliare la mamma. Andò allora in cucina dove c'erano i biscotti e la coca cola da bere senz'acqua.

Poi quando ritornò nel letto, alzò il cuscino e vide che i sassolini erano di nuovo cambiati: adesso erano bianchi di un bianco bianchissimo come quello di una farfalla notturna o come dentini che ogni mattina vengono lavati con tre dentifrici diversi.

11)

Al mattino una nuvoletta di polvere colorata si posò sui sassolini.

“Bella bambina, lo so che sei tu a fare tutte queste cose...ma perché non ti fai più vedere? Sai cosa faccio? Adesso senza che la mamma mi veda prendo per te un po' di quei biscotti buonissimi.”

Ne prese tre.

“Tre sassolini e tre biscotti” pensò.

12)

E mentre andava a scuola e pensava “che cosa se ne farà poi di tre biscotti una bambina magica?” toccò di nuovo i sassolini.

“Invece i biscotti mi piacciono molto! Ma dimmi non hai un po di ragù per il mio gatto?” “No”

“Be dammi i biscotti allora!!” E mentre la bambina mangiava, Giovanni non riusciva a spiccicare nemmeno una parola.

“Devi andare a scuola, vero? “Si”

“Bene ti accompagno” Si trasformò in farfalla e per tutto il tragitto gli svolazzò sopra la testa

13)

All'uscita da scuola la farfalla riprese a svolazzargli intorno.

“Adesso però, per favore, torna una bambina.”

Allora si trasformò di nuovo e cominciò a correre.

“Dai prendimi” gli disse.

Giovanni si mise a correre, ma prenderla sembrava impossibile. Allora toccò

i sassolini e cominciò ad andar velocissimo, ma quando l'aveva raggiunta e stava per toccarla, lei si trasformò di nuovo in farfalla.

Giovanni si lasciò cadere nel prato. Lei era lontana e il gatto le saltellava dietro.

14)

Sentì una voce gentile da dietro le spalle, una voce che diceva: “ma guarda quei due son tornati”. Giovanni girandosi vide un vecchietto che sorrideva. Chissà se anche lui usava tre dentifrici diversi.

Continuò il vecchietto : “sei fortunato Giovanni , chi ha la fortuna di vedere quei due se ne sta in pace a dormire su un ramo e del buio non ha più paura.”

Giovanni lo guardò stupito e gli chiese: "ma tu come sai queste cose, per caso conosci il gatto e la bambina farfalla?"

Rispose il vecchietto: "si li conosco, li conosco da tanto tempo e posso dirti che quello non è un gatto, ma una creatura che può trasformarsi anche in altri animali, la mucca, la volpe, la tartaruga. Quando l'ho visto io era una lepre, avevo più o meno la tua età sai.."

15)

“E perché si trasforma in tanti animali diversi?” chiese Giovanni

“Si trasforma in un animale o in un altro a seconda di quel che gli serve. Tu per esempio sei un bimbo molto vivace che forse non sa che ogni tanto è bello fermarsi e forse, forse hai qualche paura. E qual'è la prima grande paura se non quella del buio? E chi se ne sta più tranquillo di un gatto sul ramo. E quale altro animale vede nel buio? Io ero un bambino triste e la lepre mi ha insegnato a correre sotto la luna.

“E la bambina farfalla?”

“E' lei a consigliargli quale animale scegliere, ed è in grado di farlo proprio perché è una bambina, lei ti ha guardato negli occhi, la prima volta che ti ha visto, no? E con un solo sguardo ha capito tutto di te.”

16)

“Ma non invecchia mai? Hai detto che quando l'hai incontrata la prima volta eri un bambino e adesso tu sei vecchio”

“No, non invecchia e per rimanere con lui deve rimanere una bambina per sempre, altrimenti non riuscirebbe a capire con gli occhi.”

“Ma tu come fai a sapere tutte queste cose?”

“Sai, fino ad oggi, la bambina e il suo amico non li avevo più incontrati, e così mi son fatto tante domande, e questo è quello che io ho immaginato.”

“Bé, magari le domande posso farle io alla bambina quando la rivedrò.”

“Non credo che la rivedrai... oggi hai visto la bambina per la seconda volta e ha giocato con te, non è così?”

“Si, è così.”

“ Be, quello è il suo modo di salutare.”

17)

Giovanni adesso stava in silenzio, non sapendo se essere triste o contento. Il vecchietto allora mise le mani in tasca, tirò fuori tre sassolini colorati e sorrise. Così sorrise anche lui e gli parve di essere ancora sul ramo.

E sul ramo infatti c'era ancora. E sonnecchiava.

Lo risvegliò una lepre che correva come un vecchio non potrebbe mai fare.

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editoriale di luludia

Mi capitava, ogni tanto, quando passeggiavo vicino a casa mia, di imbattermi in una curiosa figura, un tizio alto, pallido, sempre vestito di eleganti abiti scuri che camminava, flessuoso e morbido, di un passo sfaccendato, come un gatto diventato chissà come umano.

Di spettrale bellezza, sembrava avere un cerchio intorno a sé destinato ad allontanare gli altri e dico sembrava perché, in realtà, gli altri gli si avvicinavano eccome, ma, come avevo già da un pezzo notato, si trattava sempre di tizi male in arnese. Non lo vedevi mai parlare con un tal dei tali qualunque, che con gente simile il cerchio funzionava benissimo.

Un giorno, mentre ero seduto su una panchina e lui stava camminando a pochi passi da me, fu fermato da una vecchietta, di quelle che hanno un calzino bianco e uno blu,

“L'unico modo per far le cose pari è lasciarle dispari.” disse lei. Lui rispose “Questa l'ho sentita in un vecchio blues.” “E cusel e blues?” “Sono io quando mi ricorderò di te.”

Poi la vecchietta lo salutò. Stupito, memorizzai la conversazione e arrivato a casa la scrissi subito in un quadernino .

Un giorno ascoltando, per caso, dei miei vicini parlare di lui appresi che da giovane si era bendato completamente il viso per qualche mese, poiché non voleva essere visto dagli altri e che ai tempi delle superiori era solito camminare sui tetti della scuola.

“E' sempre stato un tipo strano e pensa che le donne gli morivano dietro” aveva poi detto uno dei vicini con evidente invidia.

Una sera andai nel bar vicino casa per vedere una partita di calcio e con mio sorpresa (nulla lasciava pensare che potesse interessarsene) c'era anche lui. Gli sedetti accanto. Le due squadre stavano facendo una squallida partita difensiva e allora dissi parlando tra me e me “Un po' di coraggio, no? Sorpresa su sorpresa, mi rispose “E' la tattica del pipistrello con gli undici giocatori attaccati alla traversa.”

“Questa non è male.”

“Non è una frase mia, ma di un giocatore sudamericano, non ricordo più quale.”

Durante il resto della partita non parlammo più, ma dopo mi offrì da bere e ebbe inizio così la prima delle nostre serate alcoliche. “Il calcio è un gioco magico perché si usano i piedi e non fosse altro che per questo per me è pura poesia. E quando va bene è una specie di mondo alla rovescia dove una specie di nano quasi deforme nasconde la palla ai giganti. Oggi è sempre più raro vedere giocar bene e funziona solo la tattica del pipistrello che ti dicevo prima. E, credimi, è quasi più divertente veder giocare i ragazzini”

Sfondava una porta aperta con me, che, se vedevo dei ragazzini giocare, mi fermavo sempre.

Parlammo poi dell'odore dell'erba, della sensazione magica di veder correre sulla fascia, del suono della palla accarezzata dal piede, dei calciatori brasiliani di un tempo che giocavano addormentati, di un certo Tabanelli a cui io non riuscivo mai a rubare la palla quando ero ragazzo. Alla fine il vampiro citò una frase di Eduardo Galeano a proposito dello squallore del calcio moderno: “I più vincono senza magia, senza sorpresa, né bellezza, ma così è peggio che perdere.” E credo che queste parole spieghino molto bene il motivo per cui il suo cerchio protettivo lasciasse passare solo i folli e gli sconfitti. Chi vinceva senza bellezza non lo interessava, e credo di non aver mai conosciuto nella mia vita un uomo che nutrisse un odio così profondo per la normalità.

E per quel che riguarda i folli, erano loro ad avvicinarsi a lui e non lui a loro. E da parte sua non c'era nessuna posa alla Stavrogin. E' solo che i folli hanno bisogno, si dice, di guardare negli occhi la naturalità della bestia per riposarsi dall'umano almeno per un attimo. E io credo che con lui le cose funzionassero proprio così e in questo senso era davvero un gatto o un vampiro. Già perché io lo chiamavo così, vampiro, e anzi vampiro con un dente solo a significare che non lo era proprio del tutto

E girando con lui ho quindi finito per imbattermi in dolci e strani personaggi.

Giuseppina, grande giocatrice di beccacino e tabagista terminale che era convinta, tra le altre cose, di essere stata da bambina il monello di Charlot, (“Ero così bellina, sapessi!!”).

Nello che passava le sue giornate a raccattare cose vecchie, e comprava quasi ogni giorno un orologio da pochi euro o cellulari giocattolo solo per il piacere di smontarli.

Pierino che aveva un borsello pieno di fogli riempiti di una grafia dolcemente psichiatrica che leggeva con un eloquio lento e smozzicato, difficilissimo da comprendere e, una parola ogni dieci secondi, si componevano frasi come “Amore mio sincero come una sirena, amore che sei un lembo della mia vita”, con il vampiro che lo aiutava a leggere perché delle volte Pierino non ci riusciva.

O il vecchietto che diceva “Strenz e cul e ten bota” ( che si, significa proprio stringi il culo e tieni botta) e che girava con un motorino scassato, si faceva parecchi bianchini e sorrideva sempre.

Che a me veniva da pensare: altro che quel cazzone di Virgilio, son tipi come il vampiro che dovrebbero accompagnarti per l'inferno, in quei luoghi terrificanti dove c'è solo la paura che quello che c'è dentro di te sgomenti scandalizzi, crei raccapriccio. E dove è meglio vomitare tutto e subito o sbattere in faccia agli altri con una violenza assurda il proprio male, piuttosto che credere che quel pensiero che ti aveva sfiorato e cioè l'idea di essere qualcosa di bello e di buono possa avere anche solo un minimo di realtà.

Il vampiro mi ricordava il mago. La stessa solitudine. E anche la stessa eloquenza bislacca, specie quando in preda a una dolce tenerezza alcolica partiva con delle vere e proprie filippiche cariche di un santissimo odio.

“L'umanità dovrebbe suicidarsi - diceva - Madre terra ha bisogno di respirare. E da brava dea benevola potrebbe far cessare con un battito di ciglia quella sottospecie di ipnosi chiamata istinto di sopravvivenza. Un suicidio di massa risulterebbe molto più pratico rispetto alla eventuale realizzazione di alcune idee carine che l'uomo ha indubbiamente avuto nel corso della sua lunga storia, tipo radere al suolo i quartieri dormitorio, spostare le opere d'arte dai musei ai bar o smettere di considerare gli individui come mere funzioni economiche. Tali idee risultano infatti, per una ragione o per l'altra, del tutto improbabili anche se sensatissime. Meglio quindi ricominciare da zero tra un milione di anni. Si fotta quindi l'istinto di sopravvivenza che forse è un dio di cui non siamo degni, che tutto è semplice in realtà e davvero dovrebbe morire chi non riesce a vivere. E chi è ridicolo dovrebbe esserlo con gioia che sarebbe bello sputtanarsi sempre e completamente, che da li parte tutto (almeno per quelli come me), che a essere ridicoli ci si guadagna e nessuno può coglierti in castagna. Che la castagna è il tuo angelo custode, il tuo chi se ne fotte. Ed esibire il proprio male è la sola forma di cura e gli psichiatri son solo dei gendarmi appena appena più colti e infinitamente più stronzi, anche se non lo fanno apposta. Sputtanamento quindi, sputtanamento sempre e comunque, ma non bisogna farlo ad arte a meno che l'arte non sia vera, mica uno sputtanamento rococò o uno sputtanamento d'avanguardia. Lo sputtanamento deve essere totale, cazzo, che dopo se vuoi puoi essere anche un artista,un guerriero, un santo, ma prima viene lo sputtanamento...a meno che non si sia perfetti, o lietamente imperfetti, non perfettini o perfettine del cazzo. Perfetti o lietamente imperfetti ripeto, che ne ho conosciuti...pochi certo, ma ne ho conosciuti. Che poi anche li è solo questione di culo. Che è una sontuosa scoreggia ad annunciare il paradiso, anche se Chopin sarebbe meglio. Ma non è il caso. Che la felicità è terra terra, focaccia al rosmarino o bacio.”

Disse proprio così: “Focaccia al rosmarino o bacio”.

“Dovrebbe morire chi non riesce a vivere, vampiro? Anche i tuoi amici folli?”

“Ma non sono loro quelli che non riescono a vivere.”

“No?”

“Sono gli altri, i fottutissimi altri... e la follia dei miei amici, perlomeno quella che procura sofferenza, nasce dal disonore dei fottutissimi altri”

“Quale disonore?”

“Quello di non rinsavire perché non riescono a essere pazzi. E' merda al di sotto del biologico, che una cellula malata non finge di essere sana. Loro invece sono solo milioni di cellule che fingono.

“Però vampiro, io ho sempre in mente quello che diceva la nonna di Bob Dylan...”

“La nonna di Bob Dylan?”

“Si, la nonna di Bob Dylan.”

“E che diceva?”

“Diceva che bisogna essere gentili con tutti, perché tutti devono lottare per vivere.”

“Beh, mia nonna era tutta un altro tipo. Eh, senti...”

“Si?”

“Mi ricordo quando ero piccolo. Sognavo una banda, una lega segreta, oggi direi per fottere il mondo, oppure guardarlo per la prima volta. In quella banda c'erano gli eroi dei film per bambini, un mio compagno figo, mio nonno. Eh si Bob Dylan la nonna, io il nonno. Oggi ci sarebbero anche Nello, Giuseppina, Pierino, il vecchietto sorridente con la loro follia finalmente dolce e non manicomiale a disseminare per il mondo un po' di divino buon senso o di dialetto delle streghe.”

“Un po' già lo fanno. E anche tu lo fai.”

“Io non faccio assolutamente nulla, se non fottere le mogli di chi mi prendeva per il culo da piccolo.”

“ Non mi sembra poco vampiro.”

In quanto a scoparsi le mogli di chi lo prendeva per il culo da piccolo (oltre a tutta una serie di soggetti che non sopportava), il vampiro non scherzava affatto, anzi era una cosa che faceva in modo incredibilmente metodico tenendo persino un diario delle sue conquiste.

Mi è capitato di leggerlo quel diario e che documento straordinario era!!! Diviso per capitoli, ognuno con un cornuto diverso e relativa donna conquistata, con la descrizione in tono sarcastico e irridente dell'omuncolo di turno e la fredda elencazione numerica delle pratiche sessuali effettuate Un vero e proprio concentrato d'odio e senza mai alcuna tenerezza nei confronti di tutte quelle signore, che, del resto, anche parlando con me, chiamava con disprezzo ”troiame assortito” o “vaccume senza capo ne coda”

In ogni caso, quello che mi divertiva nel suo diario era proprio la crudeltà e anche lo stridente contrasto tra le descrizioni mirabolanti dei cornuti e il freddo elenco delle pratiche sessuali. Era come unire Boccaccio (uno che conosceva l'arte del ridicolizzare) e Rimbaud (uno che conosceva l'odio) allo stile asettico di un killer seriale. Puro humour nero. Con quei mariti il cui volto si muoveva a scatti come quello di un tacchino e i cui corpi avvolti di ispido pelo urticante mandavano nell'aria un brivido di calzino sporco. E oltre quel bestiario fantastico c'era il puro orgoglio vampiresco per la culona biondo cenere che sputava sulla foto del marito mentre veniva presa da dietro o per le telefonate sotto amplesso fatte al cornuto, telefonate grazie alle quali le rappresentanti di quel vaccume senza capo, ne coda provavano poi alla fine, senza eccezione alcuna, un piacere infinito, molto più interessante di un banale orgasmo.

E questo garbuglio di sesso seriale, e certamente malato, andava avanti da anni e non riuscivo a spiegarmi come non potesse finire, anche se l'odio è un carburante nobile come dice una bella canzoncina.

Però insomma, mi ricordo di un racconto dove un tale, martoriato da piccolo dalle angherie di una faccia di merda, sta facendo un viaggio in treno. E dove sta andando? Proprio a casa della faccia di merda, che dopo tanti anni di ricerche ha scoperto dove abita. E durante tutto il viaggio non fa altro che pensare a come mettere in atto la sua vendetta. E poi alla fine, per farla breve, arriva alla casa del nemico. Suona e la faccia di merda apre la porta e...e...e...

...è un nano... un nano capite!!! Allora il nostro eroe si fa una gran risata e se ne va, mica si mette in testa di scopare la moglie di quel tipo, posto che ne avesse avuta una.

Insomma quello che voglio dire è che il vampiro era un gigante e gli altri nani e questo forse sarebbe dovuto bastargli.

E' che lui aveva proprio il gusto di certe cose e, ad esempio, gli piacevano moltissimo le novelle popolari di stampo boccaccesco, robette che si sono tramandate oralmente per secoli e che lui conosceva grazie ad alcuni graziosi libercoli scritti da uno stravagante antropologo. La sua preferita era quella che raccontava della prima notte di nozze di un contadino idiota ed inesperto che pensa che il buchetto da esplorare sia l'ombelico e non quello un pochino più giù di cui ignora l'esistenza. E nonostante per tutta la notte la sventurata moglie provi a dirgli che non è quella la strada, lui insiste e insiste senza ovviamente cavare un ragno dal buco. Al mattino va da un suo amico fabbro per spiegargli la situazione e chiedere se magari con un qualche arnese si poteva fare qualcosa per allargare quel buco tanto stretto. “Qualcosa si può fare, certo.”

“E' venuto il fabbro e il buco me l'ha scavato un po' più giù.” dirà poi la moglie al tenero cornuto. “Accidenti con tutti i posti che ci sono te l'ha scavato proprio li dove c'è tutto quel pelo!!!” Ecco non avete idea di quante volte il vampiro tornasse su quella storia, e spesso con tutta una serie di sugose varianti inventate della sua fantasia sovraeccitata.

Le vendette seriali del vampiro avevano però delle pause. Gli capitava infatti di innamorarsi davvero. Anche se mai di strafighe, genere già fin troppo presente nel troiame assortito e nel vaccume senza capo, ne coda, ma piuttosto (per riprendere le insolite categorie di quel noto busker dagli occhi da furetto) di ragazze commedia, fanciulle uccellino o pastello, quando non di assurde ed improbabili bariste grasse, virago muscolose e tatuate, scheletriche vampire dagli occhi invasati. Che gli occhi erano importanti e dovevano essere calmi come una giornata perfetta o vivi e guizzanti come quelli di un bimbo zingaro, e in ogni caso contenere perlomeno il mondo intero, sofferenza compresa. Un po' come diceva il favoloso Iggy Pop a proposito della musica selvaggia dei suoi anni giovani: “La terra tremava, si apriva e ingoiava la sofferenza tutta intera...” e tutto con l'ausilio di stupide chitarre hawaiane e bidoni di benzina vuoti, non certo strumenti strafighi. Ecco che anche il vampiro, con quelle donne il più delle volte assurde, trovava una musica del genere. Una musica che partendo dagli occhi femminei e i suoi di gatto vibrava come impazzita.

“Io non voglio dei pezzi di vetro o di legno, non voglio tailleur o biondine passate in candeggina, io voglio sentire l'energia che scorre e scoparle guardandole negli occhi, ma voglio anche ridere, parlare e bere il vino. Io non sopporto il genere maschile, a parte te mio principe e a parte i folli. Quindi le donne sono il mio amico e la mia amica. E anche il mio bambino. E se mi innamoro voglio star con loro giorno e notte. E quando finisce, finisce. Aveva ragione il tuo caro mago su quella faccenda del romanticismo estremo e tenerissimo, che si concede di durare anche poco, o al massimo quanto serve. Io, in fondo, credo di essere abbastanza bravo nell'annusare donne poco inclini al fotoromanzo. Ma purtroppo è impossibile non spezzare qualche cuore e in quei casi allora una lucina dovrebbe avvertirti prima e tu come un perfetto mago (chissà se il tuo ci ha mai pensato) dovresti visitarle solo in sogno, che i sogni i cuori non li spezzano.”

Durante quegli amori, a cui si dedicava anima e corpo, spariva completamente dalla circolazione. E non so se a farlo riemergere fosse più l'istinto del killer seriale (e quindi il bisogno di nuove vittime) o la naturale consunzione di relazioni così intense. Quello che so è che erano le due facce della stessa medaglia e aveva bisogno di entrambe, che senza l'una o senza l'altra sarebbe senza dubbio impazzito. E non crediate che per lui una parte fosse buona e l'altra cattiva, che di entrambe si nutriva con la stessa fame. E la fame non è certo filosofia.

Certo devo ammettere che gli amori seriali e vendicativi mi davano i brividi, ma al tempo stesso, in un certo senso, invidiavo quel suo atteggiamento talebano, perché chi è che ha la fortuna di poter sviscerare completamente sia l'odio che l'amore e di mangiar la ricotta sia col miele, sia col sale.

Per quel che riguarda il sale, c'erano due immagini dell'immaginario blues che citava sempre e che facevano parte per così dire della sua mitologia: il backdoor man, l'amante nero che fugge dalla porta sul retro; e quel delizioso insettino parassita di cui non ricordo il nome che ai tempi del blues del delta devastava le piantagioni dei bianchi come il più perfetto dei vendicatori neri.

Per quel che riguarda il miele invece pensate a qualsiasi canzone di Nick Drake.

Unitelo poi questo sale e questo miele e avrete il suo ritratto più perfetto.

Ma c'è ancora una cosa che devo dirvi. Ci sono stati dei periodi in cui ho sospettato nelle ombre seriali del vampiro una colossale e fantasmagorica invenzione. Se dei suoi amori luminosi avevo infatti delle prove ben certe, rispetto a quelli seriali non avevo visto che un diario. E, a parte la lettura di quel documento favoloso, non ricordo che qualche suo vago accenno sull'argomento, unito tuttalpiù ad ancor più vaghe considerazioni che avrebbero dovuto suggerire un imbarazzo che equivaleva ad una chiusura a doppia mandata. E se tale ritrosia, visto quello di cui parlavamo, era in qualche modo comprensibile, il fatto che in qualche occasione mi avesse risposto stizzito “insomma, è tutto scritto nel diario!!” lo era un po' meno, anche perché solitamente era la persona più cordiale del mondo. Quello che mi dicevo in questi momenti di dubbio era che, in fondo, la credibilità di questa storia stava tutta nell'aderenza che aveva con il suo personaggio. Non era infatti forse la sua bellezza abbacinante, non era forse placido, sornione e ipnotico il suo modo di fare, non era forse quasi animalesca la sua sicurezza (quella di un gatto appunto)? E che sforzo sarebbe mai stato per lui stregare qualsiasi donna, strafighe e ritrose comprese? E quel personaggio non si sposava forse perfettamente col suo odio? Sia come sia, anche se vi sembrerà strano, le cose rimarrebbero esattamente le stesse. Inventare o vivere una cosa è appunto la stessa cosa, almeno per me. Il bisogno è lo stesso. La fame è la stessa. Che mi importa se è pieno di pazzi che vivono la loro vita immaginaria e che quando possono abbandonare la merda sociale anche solo per un attimo (al cesso o nel balcone dove una stronzissima moglie li spedisce a fumarsi la sigaretta) son presi dall'ardore di fingersi chissà chi? Innanzi tutto quei pazzi non sono il vampiro. E poi quel fingersi chissà chi essendo la parte più vera non finirebbe per essere anche la migliore, o perlomeno sua stretta parente? Il fatto è che questi sogni nessuno, a parte i bambini, li rivela o li fa passare per realtà. Questa sarebbe la prova che il vampiro non ha inventato nulla. Ma ripeto, sia come sia. La questione è secondaria.

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editoriale di luludia

E altro era il luogo della tua vera vita
e altro era il tempo.

Non vola un triste sorriso notturno nel pieno del giorno.

Non vola se non ha dove fare ritorno

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Vincenzo è il primo matto che ricordo. Quand'ero bambino parlava con mia madre e aveva una voce femmina, voce da ninne nanne o vento tra le foglie. E un viso d'orco buono. E giacche troppo larghe. E libri nelle tasche.

Quello che mi colpiva era la gentilezza, perché anche essere troppo gentili è una forma di pazzia per alcuni. Infatti chi era gentile come lui? Il mio babbo forse, ma il mio babbo non era matto. E poi sorrideva, ma sorrideva triste. Triste di tristezza antica per di più. Ma non era triste vederlo. Anzi. Era solo strano.

Poi qualcuno me lo disse che era un matto, che stava in manicomio. Anche se poteva uscire.

Lo rividi forse vent'anni dopo. Mi raccontò un po' la sua vita, del fratello che l'aveva fatto rinchiudere, degli altri matti che erano gli unici di cui gli importava davvero qualcosa, e del fatto che aveva aiutato il figlio del portiere del manicomio a studiare per la maturità.

Mi capitava poi di vederlo girare in bicicletta e allora, dato che sono un po' poeta, pensavo “guarda, ecco la follia a zig zag sulle biciclette”, che mica era vero, perché primo non era matto, secondo mica andava storto in bicicletta, massimo massimo andava piano. Però quella frase mi piaceva e mi piace ancora.

Rileggo queste poche righe e vedo che ho parlato del mio babbo e della mia mamma, e mi viene allora in mente Pasolini che vedeva in tutte le persone dei padri e delle madri verso le quali portare un naturale e originario rispetto.Se tutti avessero pensato questo allora forse Vincenzo in manicomio non ci sarebbe finito.

Ed era proprio il manicomio, con quel sottile strato di polvere che ti getta addosso, quasi fossi un oggetto dimenticato in cantina...

Ed era proprio quella polvere, quella polvere unita al sorriso e alla voce gentile...

Era quella polvere, come se provenisse da un'altro tempo, a dargli quella luce da fantasma...

Sottile strato di polvere manicomiale, lieve spaesamento spazio temporale...

Cosi' era Vincenzo, l'angelo piu' strano che abbia mai incontrato...

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editoriale di luludia

1)

Son le dieci di mattina…

E, nell’aria quasi tiepida, passa la classica famigliola dei boschi. E son rarissime le famigliole dei boschi...rarissime…

Lo sapete vero, quali sono le famigliole dei boschi? Son quelle in preda, nientemeno, che all’armonia universale. Quelle che spaccano, sfilano…O sfilano e spaccano...

E questa è assolutamente fantastica: culo portentoso e faccia buffa lei... e pure lui, oh si si, pure lui è sul buffo andante.

Poi a comporre il trittico perfetto (o magico trio che dir si voglia) non manca il bimbetto saltellante d’ordinanza.

Apparizione? Buon auspicio? Magic moment?

Sia quel che sia, culo dei principianti oppure che la prima è dei bambini, l’inizio promette bene.

Senza contare che il sole, pur quasi accecante, lascia all’aria qualcosa di frescolino e questo significa che è l’ottobre, ovvero il mese mio.

E poi, qui al bar Emilia, fanno il miglior caffè della città, bene…bene bene bene...anche perché tra i molti sintomi della decadenza dell’oggi vi è certo il fatto che il caffè sia il più delle volte una oscura brodaglia.

Per non parlare del cappuccino…

2)

Ma ok, si parte...si va a Casola, e Casola è una favola...ed è anche il paesino delle erbe officinali...ma è pure Tolintesac, che, se voi permettete, significa prendila nel sacco, cioè a dire: in culo. Ed è stato uno scrittore pizzaiolo (o pizzaiolo scrittore) a chiamarla così.

Almeno credo...

E comunque sia, ditemi voi, vi è forse un luogo al mondo che non meriti di appellarsi così? Non sto neanche ad ascoltare la risposta...

Ecco, si, si parte…

In macchina, ascoltiamo i Belle and Sebastian, davvero perfetti per questa luce d’autunno. Il loro “The boy with the arab strap” è il nostro disco da gita.

In questo caso addirittura gita domenicale…

Oddio, in una gita domenicale di quelle dei tempi miei (di quelle, intendo, che a un certo punto c’era la cedrata Tassoni al bar) si sarebbe partiti nel primo pomeriggio. Che, la mattina, la mamma (moglie zdora) era impegnata con l’arrosto.

Non è il nostro caso, miss Luludia l’arrosto lo compra alla coop…

E, a proposito di miss Luludia, ecco, miss Luludia è li che canticchia…

Li conoscete i Belle and Sebastian, vero?... quella bella robina a metà tra il Nick Drake di Bryter later e il miglior pop che possiate immaginare…una di quelle faccende molto molto happy/sad…

Per alcuni troppo la la la, ma non certo per me...

Che poi qui ad un certo punto, credo proprio nella canzone che da il titolo all’album, il cantante dice una cosa del tipo: “faccio l’elenco delle mie migliori dieci masturbazioni”…e siccome quell’elenco ogni tanto lo faccio anch’io…

3)

Sulla strada, che è strada d’autunno e quindi strada di colori, appare l’incongruità di una enorme mela a forma di cuore, una roba pubblicitaria...è orrenda, ovviamente, ma serve a far sorridere l’orsetto interiore di miss Luludia, uno che è meglio tenersi buono…

Per cui ok alla mela a forma di cuore.

Poi ecco, con la meraviglia della sua facciata romanica e l’austerità contadina delle retrovie (un tempo abitazione di certi monaci benedettini), ecco l’abbazia di San Giovanni.

Ci fermiamo, che essendo domenica, è aperta…

Un codazzo di gente ascolta un cicerone e a noi non so perché ci vien da uscire, miss Luludia coinvolta dalla semplicitò del tutto, io un po’seccato, che la mia tirchieria mi ha impedito di acquistare a euro dieci un libercolo sulla storia dell’abbazia.

Prendo solo qualche depliant...

Risaliamo in macchina e poco dopo si passa dalla casa natale di Alfredo Oriani, quello della bicicletta

“La bicicletta è la trascrizione dell’energia in equilibrio, l’immagine visibile del vento...si può dire di lei quel che si dice del violino, ha raggiunto la sua perfezione per sempre”…

3)

Poi ecco Casola…ed ecco, inaspettato, il vento...

Parcheggiamo lontano, che oggi c’è la sagra dei frutti dimenticati…

Troppo facile dir melograni e nespole…che qui è faccenda di pere volpine, corbezzoli, cornioli, azzeruole...nomi bellissimi, bellissimi colori…

E mentre miss Luludia fa la pipì, ascolto lo speaker che annuncia il programma della giornata...ma a noi frega niente, noi andiamo a naso, e conoscendoci mi sa che faremo solo un breve assaggio…

E ci incamminiamo: bancarelle con rametti di bacche rosse, pere piccole piccole, mele più piccole ancora, marmellate...profumo di castagne…

Che oggi è anche la festa delle castagne…

E i caldarrostari sembran quasi soffiare fumo su tutta Casola.

Così, mentre dalla piazza la strada sale verso l’azzurro, le bancarelle, col vento che le sommerge di sole e di fumo, sembran come sospese. Le bancarelle e tutto il resto.

E, a tratti, è tutto un dolcissimo tremolio…

4)

Poi ci fermiamo davanti a una porticciola di legno dove sono affissi tre bellissimi disegni in bianco e nero. Non so, potrebbe sembrare la porta di un artigiano, ma è chiusa e non c’è nessuno. Solo quei tre disegni.

Uno ritrae un viso di donna. Una sorta di Gioconda del popolo, un mezzo sorriso e il dolce e raccolto mistero degli occhi. Niente di esoterico però, solo e soltanto una donna qualunque in un attimo non qualunque.

Una zdora, in fondo...

E scatta qualcosa, io non lo so il perché, ma scatta.

E quel disegno mi fa venire in mente Rosa cuore d’oro, una mitologica prostituta che, nel dopoguerra, stazionava davanti all’osteria della pace a Imola.

“Perché la chiamano cuore d’oro, nonno?”

“Perché è molto generosa con tutti.”

Ah ripeto, non lo so il perché...ma quella è Rosa cuore d’oro…anzi Rosa cuore d’oro “dalle guanciotte rosse e viso color cipria”…e il virgolettato vien da un libro di ricordi di una vecchia signora

Io li adoro i libri di ricordi. E tutti quei personaggi…tipo quella matta, sempre imolese, che andava a lavare le mutande nell’acquasantiera.

In ogni caso son proprio felice d'aver dato un volto a Rosa cuore d’oro…

5)

Andiamo avanti e, dopo l’assenza di vento del vicolo stretto, torniamo in piazza.

Ed entriamo in un qualcosa tipo mostra.

Nella sala grande ci stanno i frutti lucidati in bella vista, in quella piccola ci son delle fotografie. Mi tuffo in quella piccola e li un foglio illustrativo racconta la storia di un signore che da bambino guardava la forme delle nuvole, le macchie sui muri, le striature dei sassi.

(BELLO, LO FACEVO ANCH’IO!!!)

(ANZI LO FACCIO ANCORA)

(E IMMAGINO ANCHE VOI)

La mostra raccoglie delle foto ingrandite e ritoccate di una fontana nelle diverse stagioni e nelle diverse ore del giorno.

Il concetto è sempre quello delle macchie sul muro: osservando si vedono cose e, ingrandendo e ritoccando, quelle stesse cose si accentuano e finiscono per prendere in modo sempre più chiaro la forma che avevi intravisto.

Le opere però, onestamente, mica mi piacciono. Meglio, molto meglio la storia che c’è dietro.

E allora faccio per uscire. Ma il fotografo mi abbranca, e comincia a chiedermi se mi è piaciuto quel che ho visto. Io gli rispondo che, soprattutto, mi è piaciuto lo scritto.

E comincia a raccontarmi. Mi dice che ora fotografa farfalle…“Le farfalle scappano, ma se stai un venti minuti le puoi prendere tra le dita”

Poi cominciamo a parlare delle macchie sui muri e qui viene il bello…

“Se vuole la porto a vedere una macchia incredibile, è proprio qui vicino”

“Va bene”

Miss Luludia già da un po’ stava fuori ad aspettarmi.

“Devo andare con questo signore a vedere una macchia sul muro”

“Cosa?”

“Si è qui vicino”

E così anche miss Luludia, non so se più stupita o più divertita, alla fine viene con noi.

Non facciamo molta strada.

La macchia non è proprio una macchia, ma una specie di screpolatura. Che dire, nonostante pure io sia propenso, a me non dice niente. Invece lui ci ha visto roba, la spirale universale di qualcosa, l’inconscio, cose così...

“Le restituisco il suo fidanzato, signorina” Poi ci stringe la mano e se ne va. Fantastico.

Dovremmo mangiare, ma c’è troppa fila ovunque. Allora, visto che è la festa dei frutti dimenticati, ci prendiamo un etto di corniole.

Sanno di marmellata andata a male. Ma chi se ne frega…

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