CosmicJocker

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editoriale di CosmicJocker

Camminando e rimuginando, progettando e camminando;

Passo dopo passo... Capita a tutti.

Ci trattengono i fili del passato (che sia prossimo o remoto cosa importa?).

Ci tormenta il viso del futuro.

Passo dopo passo... Fino a che..

SBRUASHH!

Eccoci lì: intrisi del suo tanfo, inzaccherati dai suoi sbafi sotto la suola.

Però siamo lì: i fili sono spezzati, il viso è dimenticato.. Siamo lì, presenti nel presente!

Epifania joyciana, paradigma del Momento, sguardo di Medusa del verbo essere.

Siamo semplicemente lì.

Ascoltiamo il nostro respiro, nutriamoci (senza soffermarci) delle immagini e delle energie, calpestiamo cacche.

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editoriale di CosmicJocker

C’è una cosa della massima importanza da sapere su di me: il vino bianco mi dà alla testa.

Non che ne beva molto (sono più il tipo da rosso fermo e strutturato), ma, soprattutto in concomitanza con la calura estiva, indugio in qualche bicchierino di troppo nel mio randagismo notturno. Sarà per il refrigerio (istantaneo, ma mendace) che ne traggo, sarà semplicemente perché a volte voglio che qualcosa mi dia alla testa… Chi lo sa.

Un paio di estati fa pascolavo per le vie del centro e, mentre la guerriglia con le zanzare diventava senza quartiere, chi trovo appollaiato sullo sgabello di un locale dimenticato da dio?!

Paolino!

Amico (non esattamente fraterno, ma comunque importante) dei miei vent’anni e prestigioso compagno di bagordi del tempo che fu, Paolino non era cambiato poi molto: stessa capigliatura disordinata (un po’ “imborghesita” ora, a dire il vero), stessa barbetta incolta (un po’ troppo “artificiale” ora, a dire il vero), stesso abbigliamento improbabile… No, questo no! L’ abbigliamento era decisamente cambiato: curato, ma senza dare l’impressione di esserlo.

Io e Paolino non ci vedevamo da parecchio e quindi, sfidando tutte le leggi del buon senso, decidemmo di bere qualcosa lì, immediatamente, all’aperto, proprio nell’ora di punta delle scorrerie dei maledetti insetti succhia-sangue.

Naturalmente, c’era solo una cosa che potevamo bere: il Bianco Sporco.

Comune ed onnisciente lubrificante delle farse, dei brividi e delle ricerche della nostra giovinezza il Bianco Sporco (bianco leggermente frizzante con aggiunta di Campari che, a quanto pare, aumenta la gradazione) avrebbe innaffiato degnamente quella serata, stordendoci gradatamente (e inevitabilmente) al punto giusto: i ricordi sarebbero emersi tra i flutti dell’alcool come i dorsi di pesci d’argento, il Campari ci avrebbe schermato dai pungiglioni di zanzara e le bollicine ci avrebbero strizzato l’occhio proprio come le ragazze che sarebbero passate di lì.

In effetti (ragazze a parte), la serata proseguiva bene: avevamo voglia di aggiornarci a vicenda sulle nostre vite e, tra una risata e l’altra, tra una puntura e l’altra, tra un bicchiere e l’altro, la mia musica e quella di Paolino erano perfettamente all’unisono.

Ma, come dicevo all’inizio, il vino bianco mi dà alla testa, figurarsi poi il Bianco Sporco.

Un bicchiere, due bicchieri, tre bicchieri… La testa gira e pensa:

Sì, lo so Paolino. Girava voce che tu ti fossi buttato in politica. Mah, contento tu. Sarai più onesto di altri immagino”.

Quattro bicchieri, cinque bicchieri, sei bicchieri… La testa vortica e pensa:

C’era scritto sul giornale che avete espulso uno dei vostri. Però non era chiaro il perché. Te lo chiedo? E’ il caso? Mah! non fare cazzate Cris, è una bella serata. Però perché dovrebbe incazzarsi? Glielo chiederei così, tranquillamente, stiamo parlando di tutto, perché dovrei farmi problemi su questo”.

Sette bicchieri, sette bicchieri e mezzo… La testa molla il freno e la voce prorompe:

Ma poi perché l’avete espulso quel tizio?”.

L’ho detto così, senza particolare veemenza, con tutta la tranquillità possibile di uno che non regge molto il vino bianco e che stava a poco a poco venendo dissanguato dalle zanzare.

Paolino (che non aveva bevuto quanto me, ma che era sempre dignitoso) ha sgranato gli occhi interdetto, raggelato.

Pausa lunga, pensierosa: “Anche tu provochi?”.

Pausa più corta, con rabbia a stento trattenuta: “Anche tu provochi?!”.

Pausa lunghissima e poi con voce metallica: “Me ne vado… Stammi bene”.

Io non ho capito benissimo lì per lì, ricordo però che sono andato al cesso e, mentre pisciavo, mi sono ricordato de “Il Grasso e il Magro”, racconto breve di Cechov. Mi sono ricordato di questi due amici russi che si ritrovavano per caso alla stazione di San Pietroburgo e ricordavo anche del piacere provato da entrambi nel rivedersi dopo tanto tempo.

Quando però uno dei due disse che lavorava come Consigliere Segreto per il Governo, l’altro cambiò subito atteggiamento diventando sgradevolmente ossequioso ed intriso di una ridicola protervia.

Una frase, una parola buttata lì con leggerezza, aveva spezzato la magia.

Paolino non lo rivedo da allora (anche se mi è parso che una volta per strada abbia fatto finta di non vedermi).

Quella sera invece sono uscito dal locale e ho concluso la serata su una panchina sul lungofiume: le zanzare mordevano la pelle, il Bianco Sporco fermentava nello stomaco e Cechov sorrideva nella testa.

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C'è nebbia ed io sono sul ponte.

Mi fermo nel mezzo.

Respiro.

Il fiume vuole giocare con me.

Io guardo le mie mani.

Respiro.

Sento passare delle persone.

Immagino le loro vite.

Respiro.

Una riva è alle spalle e l'altra...

Io mi fermo nel mezzo.

Respiro

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Età di scoperte '80 - '93

Età di sensibilità '94 - '99

Età di chiusura e amarezze '00 - '04

Età di volontà e di sperimentazione '05 - '10

Età di ricerche, di trascendenze e segreti '11 - ?

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La pagina bianca.

La sua perfezione, la sua infallibilità, la sua chiaroveggenza.

L'aroma che tesse.

Pura, incontaminata, regno del possibile.

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Tra le altre cose scarico farina nelle pizzerie.

Pochi giorni fa, dopo aver espletato le mie funzioni e mentre il mio capo persuadeva il titolare del locale della necessità di un aumento dei prezzi, io nel retrobottega mi fumavo con Ashur una deliziosa sigaretta post-pranzo.

Ashur è un ragazzo egiziano sui trent'anni, di cui una decina in Italia. Pizzaiolo più per necessità che per vocazione ha in carico una famigliola numerosa tra moglie, figli, suoceri e persino un paio di cugini.

Ashur è sempre in pizzeria, a pranzo e a cena, nei giorni feriali e festivi (ormai sono sempre di più le pizzerie che non fanno giorni di chiusura) e, per garantirsi il permesso di soggiorno, ha accettato un contratto capestro in cui gli si garantiscono 600 euro al mese per una quindicina di ore di lavoro al giorno.

Ashur è preoccupato.

Pare che un altro pizzaiolo, pakistano, stia trattando col padrone per avere il suo posto chiedendo un centinaio di euro in meno al mese.

Saluto Ashur e mi rimetto sul camion.

Signore e signori, il libero mercato.

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